Regalo senza troppe pretese per i fan più fedeli.
[ 23.10.2020 | Columbia | heartland rock ]
Se alla fine, ormai imminente, di questo disgraziato 2020, doveste vedere i dischi di Bob Dylan o di Bruce Springsteen in cima alle classifiche della critica, qual è la prima cosa che pensereste? Magari potrebbe rafforzare in voi l’idea che la musica si sia fermata a decenni fa e che oggi non vi sia più nessuno all’altezza di quei nomi.
Oppure, al contrario, che i critici musicali siano rimasti ancorati ad un passato che ha forgiato la loro anima sin dall’adolescenza e che il giudizio sia influenzato da quel legame sentimentale. O ancora, molto semplicemente, che uno come Springsteen possa aver realizzato un album incredibile a quarantasette anni di distanza dall’esordio full length. È ancora presto per vedere come la critica infilerà il nostro nelle chart ma possiamo provare a comprendere quale sia la portata di Letter To You.
Il massimo esponente di quello che viene definito “heartland rock” – un rock cantautorale generalmente del Midwest con elementi country, blues, folk e pop – sembra porsi un bersaglio molto semplice: realizzare un disco da lasciare in eredità ai suoi fan, come ultimo (forse) toccante canto del cigno. La faccenda non dovrebbe essere molto complessa per un artista come lui, e infatti il risultato è centrato in pieno. Ora, da questa frase si dovrebbe presupporre un giudizio particolarmente positivo, ma in realtà la questione è più intricata proprio perché valutare una nuova release è anche capacità di comprenderne la riuscita in relazione alla difficoltà dell’obiettivo.
È come valutare un gran goal di Messi, realizzato contro i bimbi della parrocchia: bello, grande, fenomeno però cazzo, sono bambini. La realizzazione di questo disco, per Bruce, è un po’ come un gran goal ai bambini della parrocchia. Un lavoro curato, apprezzabile, con qualche spunto sopra la media, ma che non finirà inevitabilmente tra i suoi grandi classici e che suona fin troppo melenso.
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Letter To You parte con un brano cupo, emotivo e intenso che lascia presagire un ascolto introspettivo e quieto ma in realtà, già dalla seconda traccia che da titolo all’opera, le cose torneranno alla normalità, con Springsteen a recuperare parte della sua forza vitale. Da qui, il disco si sviluppa riciclando i diversi Springsteen che avete conosciuto negli anni, senza mai osare e stupire come gli era riuscito in Western Stars dello scorso anno, album colonna sonora in cui il Boss riscopre un lato nascosto di sé stesso e lo propone attraverso il rinvenimento del pop yankee della West Coast.
Inutile continuare con un’analisi traccia per traccia: nessuna riesce mai ad emozionare come vorrebbe, e tutto suona forzato nel tentativo di toccare le corde della nostra anima, come acqua in un buco nero che gira continuamente in tondo nello stesso verso per sprofondare infine nei suoi cliché e in banalità liriche e strumentali prevedibili ma non auspicabili.
Insomma, Letter To You è un disco gradevole, di cui si fa fatica a parlar malissimo, riuscito nella misura in cui è poco coraggioso e accondiscendente nei confronti della fanbase, che sappiamo molto legata a Springsteen. Non è esclusiva questione di freschezza e originalità; non ci saranno troppi rivoluzionari nelle classifiche di fine anno, anche nelle meno scontate. Semplicemente siamo di fronte a manierismo, forse non premeditato, scarsa ispirazione e immaginazione e una sorta di rassicurante rifugio nel suo passato, quasi a non voler negare ai suoi ascoltatori quello che di lui hanno amato, con la consapevolezza che apprezzeranno anche senza sbattersi troppo a cercare chissà quale suono o tema di cui cantare.
Se avete ascoltato con me, siate ora sinceri; se alla fine di questo disgraziato 2020 doveste vedere il disco di Bruce Springsteen in cima alle classifiche della critica, qual è la prima cosa che pensereste?
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Last modified: 8 Dicembre 2020