Ryan Adams – Prisoner ( 2017 | PAX-AM | Songwriting, Pop Rock )
Dopo essersi cimentato nell’impresa di coverizzare track-by-track un intero album di Taylor Swift – operazione di utilità opinabile ma che indubbiamente non ha fatto altro che confermare la maestria di Ryan Adams nel (ri)confezionare musica – il prolifico rocker torna a deliziarci con materia sonora di prima mano, e Prisoners è la risposta che conforta chi si interroga sullo stato di salute del Classic Rock. Dopo il riuscito esercizio di stile con 1989, il songwriter torna a fare ciò che gli riesce meglio, con avvolgenti chitarre acustiche, armoniche a bocca a sfrangiare i refrain e melodie che profumano di american dream, a ricordarci che le grandi canzoni non hanno stagione e il fascino del Pop Rock anni 80 se ne frega delle rughe. [ ascolta “Doomsday” ]
Poomse – This is How We Fail ( 2016 | Espora Records | Slowcore, Shoegaze )
La geografia dei luoghi comuni procura motivo di essere sorpresi quando si scopre la provenienza del Sadcore dei Poomse, quartetto di base a Mallorca giunto al terzo lavoro in studio. La malinconia di This is How We Fail nega ogni immagine estiva e danzereccia legata alle Baleari ed è anglofona come l’Indie Rock a cui si ispira. Il sound denso di riverberi e intarsiato di fiati ha l’aura sghemba dei British Sea Power e l’introspezione dei Red House Painters, distillato in dodici tracce a base di feels e linee melodiche mai scontate. [ ascolta “Break” ]
Montauk – Vacanza/Gabbia ( 2017 | Labellascheggia | “Light Hardcore” )
Una palma in monocromo in copertina a disturbare l’estetica della vacanza per il nuovo lavoro dei Montauk, dal nome della spiaggia degli Hamptons che fa da sfondo all’inizio di una relazione intensa quanto labile e ambigua, quella di Joel e Clementine in “Eternal Sunshine of the Spotless Mind”. Vacanza/Gabbia deflagra senza mezzi termini, con la scarica di percussioni e le corde abrasive di “Privata”, prima traccia di un album che vive di dicotomie sin dal titolo. Dopo un esordio omonimo a suon di Hardcore, acerbo quanto sferzante – e una versione di “Toxic” di Britney Spears che tossica lo è per davvero, tra voce disturbata e movenze Emo/Slowcore – i bolognesi aggiustano il tiro ammiccando al Pop ma senza perdere in veemenza, affidando a trame più melodiche un cantato che vira spesso e volentieri allo Screamo, per tredici tracce di interferenze Noise, contratte e taglienti. [ ascolta “Il Freddo” ]
Gravitysays_i – Quantum Unknown ( 2016 | Inner Ear Records | Prog, Etno, Psych Rock )
Il Rock progressivo di Quantum Unknown viene dalla gloriosa scuola inglese ma ci tiene a sottolineare con cura anche quella che è la provenienza geografica dei sei membri che compongono i Gravitysays_i, e così la Grecia si incastra tra le sperimentazioni ambiziose del loro terzo album in studio per mezzo di strumenti tipici della tradizione sonora ellenica come tromba, santur e lira cretese. La magniloquenza del Prog è ammorbidita da un’elettronica garbata e dal sapore mediterraneo degli innesti acustici, per un lavoro che tiene sorprendentemente in equilibrio melodie lisergiche, esotismi, linee vocali dall’eco quasi Metal e atmosfere da spy story. [ ascolta “An Ivory Heart” ]
The Great Saunites – Green ( 2016 | Hypershape / Toten Schwan | Heavy Psych, Space Rock )
La trilogia inaugurata con Nero è già al secondo capitolo. Questa volta il protagonista è il colore di una straniante suite divisa in due parti di oltre venti minuti ciascuna, una palette che dipinge opprimenti scenari Sci Fi e che del verde contempla solo i toni più umbratili e spettrali. Distorsioni e batteria cadenzata in “Dhaneb” dilatano le suggestioni lisergiche e fanno appello a più sfere sensoriali, tra stilemi Doom e Stoner adulterati che si fanno ipnotici e sensuali. Ancor più densa è la materia di “Antares”, dove l’ossessività delle percussioni incalzanti si fa tribale e il tappeto di bassi si arricchisce di lucidi synth retrofuturistici in esiti apocalittici. Aspettiamo l’ultimo atto per dirlo ad alta voce ma tutto lascia pensare che il cerchio si chiuderà egregiamente. [ ascolta “Antares” ]
Out Of Place Artifacts – O.O.P.Art. ( 2016 | autoprodotto | Indie Pop Rock )
Dopo un EP devoto al Post Punk, per il primo lavoro in full length il quintetto romano si converte ai ritmi sostenuti di cavalcate melodiche, alternando Power Pop e ballad al piano che unite alle liriche in inglese ammiccano inevitabilmente alla tradizione americana. Tra energiche parentesi di violino che sanno di Folk d’oltremanica (“Fully Obsessed With Coffee”) e fondali enfatici su cui cucire momenti esotici (“Frog 1”) c’è spazio adeguato anche per la componente sintetica, e complice un timbro vocale rotondo e versatile di volta in volta gli Out Of Place Artifacts riconducono tutti gli stimoli sulla via di un Pop internazionale ben costruito. [ ascolta “Vetiver” ]
Human Colonies – Big Domino Vortex ( EP | 2017 | MiaCameretta/Lady Sometimes | Nu Gaze, Noise )
Giunta al secondo EP, la formazione Nu Gaze che di nostrano sembra avere solo la residenza imbastisce un suono che è una matassa elettrizzata di interferenze, creature organiche nella strumentale “Vesuvius” e abrasioni sinistre in “Kleio”. Nei momenti cantati il muro di suono degli Human Colonies sovrasta le voci maschili e femminili che si alternano rievocando la dimensione onirica dei progetti in cui milita Rachel Goswell, dai seminali Slowdive ai più recenti Minor Victories. Tra le traiettorie asimmetriche della title track e i ronzii narcotici della conclusiva “Psychowash”, i presupposti per un futuro prolifico ci sono tutti. [ ascolta “Mondrian” ]
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Last modified: 20 Febbraio 2019