I Festival, oltre ad offrire la possibilità di ascoltare tanta buona musica, sono anche un’ottima occasione per incontrare e conoscere band e musicisti. A Chiaverano, durante A Night Like This Festival, abbiamo fatto due chiacchiere con Lo Straniero, band Electro Pop piemontese, che ha da poco pubblicato il suo disco d’esordio omonimo.
I componenti della band sono Giovanni Facelli (voce, chitarra, synth e autore dei testi), Federica Addari (voce, synth), Luca Francia (synth, piano elettrico, drum machine), Valentina Francini (basso), Francesco Seitone (chitarra, drum machine). A loro la parola.
A maggio 2016 è uscito il vostro disco d’esordio omonimo. Il progetto de Lo Straniero esiste però dal 2014. Ho letto che nel tempo ci sono stati vari ingressi e cambi di formazione. Raccontatemi un po’ la vostra storia, come siete arrivati fin qui?
Giovanni: Il gruppo è nato con me, Federica e Luca, poi in seguito si sono aggiunti Vale e Francesco. Non ci sono stati cambi di formazione. Il gruppo è abbastanza recente, abbiamo una vita di due anni, due anni e mezzo, massimo tre. Abbiamo lavorato in tre inizialmente a livello compositivo, ma non ci siamo mai esibiti in tre ecco. Forse una volta in quattro, senza Francesco, però il gruppo è sempre stato questo, composto da cinque elementi.
Il vostro disco è stato registrato in diverse parti d’Italia. È stata una scelta voluta oppure è stato così per cause di forza maggiore?
Giovanni: È stata una scelta tecnica, logistica e, non ti nego, anche economica. E poi la persona alla quale ci siamo appoggiati per produrre il disco, che ha fatto anche da produttore artistico, Gianni Masci, è pugliese. Quindi una parte del disco è stata registrata a Bologna, un’altra parte a Torino. Registrarlo in posti diversi è stato un valore aggiunto, anche se è una cosa che non abbiamo cercato dall’inizio. Pensiamo che ci abbia fatto bene girare e produrre un disco in un certo senso nomade. In fase di realizzazione, pur avendo i pezzi più o meno scritti, girare diversi studi e diverse città ci ha dato degli spunti ulteriori e probabilmente positivi. Inoltre per la parte di pre-produzione abbiamo lavorato molto anche autonomamente, nei nostri home studio. Il lavoro in studio invece l’ha seguito più che altro Luca.
Il rapporto con La Tempesta Dischi invece, come è cominciato?
Giovanni: Un po’ alla vecchia maniera, facendo ascoltare i nostri dischi. In seguito tramite altri contatti, vedendoci di persona, parlando del progetto e di come si potesse sviluppare nel tempo, siamo riusciti ad arrivare ad un accordo. Però principalmente è nato tutto come ai vecchi tempi.
Domanda personalissima sulla copertina del disco. Quando l’ho vista mi ha ricordato un’episodio che ho vissuto nel quartiere Vanchiglia di Torino, quando dalla Mole Antonelliana ho visto un uomo (un ladro probabilmente) arrampicarsi sui tetti di alcuni condomini. Per voi invece cosa rappresenta la copertina ed, ovviamente, com’è nata?
Valentina: Diciamo che è nata un po’ per caso. L’idea era quella di fare un collage, allora scartabellando tra immagini e foto di famiglia ho trovato questa foto del padre di Giovanni che arrampicava. Ne sono rimasta folgorata, mi è piaciuta tantissimo. In realtà ce n’erano una serie, però abbiamo scelto quella perché è piaciuta un po’ a tutti. Mi piaceva anche l’idea che fare il disco era un po’ come scalare una montagna ed arrivare su in cima. In seguito, lavorando con programmi di grafica, ho provato a fare un collage prendendo anche dei condomini che ho trovato su una rivista, ed è venuta fuori questa copertina. In merito a ciò qualcuno recentemente ha scritto qualcosa che mi è piaciuto molto. L’uomo che arrampica è l’unica figura colorata, mentre i condomini sono tutti grigi. L’idea è quindi un po’ quella di dover andare oltre il grigio della città, di guardarla da sopra, di lasciare il grigio ad una determinata altezza e guardare oltre. La nostra musica in fondo è un po’ questo: cercare qualcosa oltre il piattume della normalità.
Altra curiosità personalissima in merito ad una canzone presente nel disco: Chi è “Nera”?
Giovanni: “Nera” è un personaggio un po’ in cerca di riscatto, però questo suo tentativo di rivalsa inizialmente è un po’ scellerato. In realtà per creare questo personaggio ho preso spunto da diverse esperienze, mi sono ispirato anche ad una figura maschile che ho poi portato dentro una figura femminile, una ragazza. Durante l’adolescenza, e anche prima, mi è capitato di conosce delle persone che hanno avuto una vita particolarmente agiata e benestante. Sono nato negli anni 80, anni in cui c’era ancora un certo benessere, ed ho avuto un sacco di amici e conoscenti che vivevano in situazioni familiari molto agiate, fin troppo, eccessive rivedendole con gli occhi di adesso, e poi hanno scelto una via diversa. Quello che vivi può influenzare quello che scrivi, anche in maniera generica. Nera è una figura generica appunto, anche se ci sono delle storie, due o tre in particolare, che sono molto a e lei molto vicine.
Qual è stata fino ad ora la difficoltà più grande che avete dovuto affrontare, e come l’avete affrontata?
Luca: Secondo me la difficoltà più grande è stata la costanza, cioè mantenere una certa tabella di marcia, che non è più quella dei ragazzi che suonano perché la musica è un “di più” nella loro vita ma, ma quella da applicare per un modello di lavoro anche futuro, necessaria per inquadrare un’attività professionale. Aspettare il tempo necessario affinché si realizzi un disco e venga alla luce è difficile, come mantenere viva la passione per mesi che poi diventano anni, aspettare le varie logiche della discografia, con i tempi di attesa necessari affinché il disco nasca e cresca. La realizzazione di un prodotto musicale non è facile da affrontare, soprattutto per ragazzi giovani come noi che si affacciano per la prima volta sul mercato musicale. La costanza è stata quindi una difficoltà ma anche un punto di forza forse, una volta che questa difficoltà è stata superata. Il pensiero fisso era: perché devo mollare proprio adesso?
Un momento dell’intervista
Quali sono le persone, i luoghi o le esperienze avute fino ad ora che vi hanno aiutati ad arrivare fin qui?
Giovanni: Sicuramente dal punto di vista tecnico e manageriale il nostro tour manager Ugo Mazzia che ci ha scovati sul web un anno e mezzo fa mentre rientravamo da un concerto in toscana, in un periodo in cui suonavamo parecchio ed avevamo già le idee chiare. La storia è questa: lui ha letto un post sul web in cui una ragazza raccontava del nostro concerto della sera prima e diceva che il pubblico per via del caldo era rimasto fuori dalla sala a bere birra annacquata e non sapeva cosa s’era perso perché dentro c’era una band che, secondo lei, era davvero molto forte. Il giorno stesso Ugo ci ha mandato un messaggio dicendoci che ci aveva ascoltati sul web ed avrebbe voluto conoscerci.
Lui con la sua esperienza è stato bravo nel darci un metodo di lavoro che andava oltre la parte più creativa e musicale, per la quale comunque siam partiti fin dall’inizio con le idee abbastanza chiare. Lui quindi sicuramente è stata una persona importante.
Poi ci sono anche incontri saltuari, che fai magari mensilmente o settimanalmente, o incontri che fai solo in occasione dei festival, o persone che con un commento o un cosiglio riescono ad aprirti la mente verso un nuovo ragionamento, e sono importanti per quello.
Poi credo che personalmente ognuno abbia il suo percorso ed i suoi incontri importanti. Ti potrei dire che un mio maestro di chitarra recente, o di un’insegnante di canto che ha avuto Fede e che poi ha consigliato a me, oppure persone che invece hanno ispirato le liriche e la scrittura. L’elenco è lungo insomma.
In merito ai luoghi, prima hai citato Vanchiglia. È interessante perché è il quartiere in cui abbiamo vissuto tutti e cinque insieme, per un mese e mezzo, in un appartamento. Io a Torino non ero mai vissuto pur essendo piemontese. E credo che anche quella fase lì e quel luogo lì abbiano influenzato in un certo senso ciò che stavamo facendo. Come anche realizzare la fase finale del disco a Chivasso. Come ha detto Alessandro Bavo che ha mixato il disco, è un posto di cemento, ci son solo palazzoni. Però mi ricordo un pomeriggio in cui uscendo dallo studio ci ha detto: si, è bella la dimensione della campagna, registrare nel verde, però certa musica nasce anche da questi posti qua dove sembra tutto geometrico, sembra tutto piatto, e per il genere che facciamo noi tra l’altro probabilmente c’è una buona dose di verità in questa cosa. Diciamo che siamo molto sensibili da questo punto di vista architettonico.
Qual è il luogo (non necessariamente fisico) in cui vi sentite più stranieri?Federica: Mah, forse non c’è neanche un luogo preciso in cui ci si sente stranieri. Essere stranieri è anche un po’ una condizione umana, sentirsi sempre un po’…non fuori dal coro ma lontani da certe dinamiche comuni, sentirsi un po’ il pesce fuor d’acqua pur essendo ovviamente, come ho detto una volta in un’intervista, non del tutto avulsi dalla realtà in cui viviamo. Noi siamo consapevoli del mondo in cui ci troviamo e come ci dobbiamo muovere all’interno di esso, però mantenendo sempre un certo sguardo rivolto in lontananza, ecco, straniero in quel senso. Diamo il via alle citazioni, mi viene in mente “Blow Up” di Antonioni: più ti avvicini a qualcosa e meno riesci a vederla chiaramente. Quindi secondo me tenersi un po’ distanti, sentirsi un po’ stranieri in questo senso ti aiuta anche a captare certe sfumature.
In che modo la musica vi ha aiutati a sentirvi meno stranieri?
Giovanni: ci sentiamo molto partecipi dal punto di vista creativo artistico e musicale. Ovunque andiamo stiamo bene, in quel senso lì non ci sentiamo stranieri. Siamo molto curiosi. Partecipare ad un festival del genere per noi è un’esperienza formativa ed artistica incredibile. Aver partecipato al MiAmi, all’Iscream Fest, tutto questo è sempre una sfida, un incontro bellissimo, in tutto questo non ci siamo mai sentiti stranieri, anzi, è la dimensione che ci appartiene di più. Ci sentiamo assolutamente aperti e non estranei in quel senso, con le nostre idee, il nostro percorso, il voler arrivare ad avere un nostro “marchio di fabbrica”, con la nostra idea di musica.
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Last modified: 21 Febbraio 2019