Chissà se Gabriele Blandamura ha mai avuto modo di leggere le mie considerazioni post esibizione degli special guests di Streetambula Music Festival 2015.
Me lo chiedo perchè se stasera varco la soglia del Garbage Live Club con qualche pregiudizio nei suoi confronti in sostanza è colpa di quell’episodio. Taglio corto e lascio qui la puntata precedente per i più curiosi.
Lo confesso: scendo le scale che portano al basement del club digiuna della musica di Blandamura. Mi fido poco dei progetti che si presentano come estensione di qualcos’altro, e quando l’anno scorso uscì il suo esordio l’ammiccante dicitura “ex bassista dei Thegiornalisti” accanto al nome Mai Stato Altrove paradossalmente divenne per me un deterrente all’ascolto. Però mi fido della programmazione del Garbage, così come mi fido della musica suonata, del fatto che andrebbe sempre scoperta ed esplorata nella sua dimensione naturale, quella del live.
Sin da subito appare chiaro che i brani di Hip Hop – il debut uscito a giugno 2016 per la giovane Bravo Dischi – condividono poco con quella ormai nota come “scena romana”. Anzi, l’effetto immediato è di ricordare una roba che è altrettanto romana ma che di risultare scenica non si è mai preoccupata troppo (e infatti la si chiama “scuola”): tra le righe delle liriche stringate e sottili di Gabriele c’è la grazia del modi di Niccolò Fabi e di un cantautorato sospeso nel tempo, tra la consapevolezza della tradizione e l’urgenza di rinnovarla.
Il basso resta a casa. A dettare il ritmo delle armonie provvede Pietro Paroletti, che si divide tra synth e drum machine, per un fondale di elettronica gentile che non esita a farsi più incisiva in alcuni episodi (la doppietta “City Life” / “I sogni”). Gabriele imbraccia la chitarra elettrica, composto nel cantato, improvvisa movenze più disinvolte nei momenti strumentali. Gli apporti elettronici chiamano in causa i primi Subsonica, in alcuni frangenti si scorge anche il Battisti più sperimentale, ma senza passaggi lirici ostili. Il sound electro in pezzi come “Stellare” finisce per ammiccare un po’ a quello de I Cani di Aurora ma non c’è ostentazione e il risultato suona genuino, a base di code strumentali che seguono pochi versi essenziali, che fanno a meno di ingredienti modaioli.
Una cover a base di chitarra e voce si inserisce a metà performance, mitigando piacevolmente un pezzo ad alto tasso melò come “Io non so parlar d’amore” di Celentano, un esercizio decisamente rischioso ma riuscito, con cui il giovane cantautore conferma anche le proprie doti vocali.
Lieta di aver cambiato radicalmente idea, e di constatare che i concerti restano l’occasione migliore perché ciò accada.
Preparatevi al prossimo appuntamento, sabato 11 marzo con gli Sdang!, tra gli eventi del mese segnalati da Rockambula.
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Last modified: 22 Febbraio 2019