A noi abruzzesi piace molto vantarci del fatto che abbiamo mare e montagna a pochissima distanza l’uno dall’altra. Salvo poi dover arrivare nel giro di mezz’ora da L’Aquila alle estreme propaggini settentrionali del teramano, che saranno anche poche decine di chilometri ma il percorso da affrontare è una specie di videogame, con tunnel che squarciano il Gran Sasso, pieni di uscite di sicurezza di quelle belle grandi da cui da un momento all’altro spunterà il mostro da sconfiggere per passare al livello successivo, e poi curve a gomito, buche, segnaletica vaga e traditrice. Come se non bastasse, sprezzanti di ogni pericolo io e la Bionda (noto personaggio del circuito underground della provincia di Pescara, la chiameremo così per tutelarne la privacy) decidiamo di partire senza l’ausilio di quelle piccole grandi tecnologie che sono oggi alla portata di tutti. Leggasi navigatore satellitare. Prima però che mi immaginiate come una specie di Indiana Jones coi tacchi alti a bordo di una Panda, taglio corto e confesso che il mio smartphone era completamente scarico, perché delle due io sono quella sfigata, mentre lei ha impiegato l’intero tragitto a capire come usare il suo, perché lei è quella bionda e il cliché vuole sia quella scema.
Stasera si gioca in casa. Palco abruzzese, artisti abruzzesi. La Bionda è molisana ma non stona, ‘che tanto al nord sono ancora convinti che siamo un’unica regione. Parlare di irriverenza per descrivere l’evento è quasi un eufemismo. Gli headliner sono una band che per l’artwork del proprio ultimo album ha scelto un’opera di un artista che raffigura Mao Tse Tung truccato da Ronald McDonald. Come se non bastasse, l’opening act è affidato a un cantautore che ha rivisitato in chiave grottesca ma tristemente attuale l’inno partigiano per eccellenza. Eccolo McMao, in bella vista sullo stage del Dejavù. Artisti e realtà live di Marche e Abruzzo sono in crescita costante e proporzionale. Insomma, da queste parti vale sempre la pena affrontare un paio di chicane se alla fine del circuito vi aspetta un live show. Il pubblico è in trepidante attesa dei MaDeDoPo ma Borghese, per l’occasione con un set minimalelectro, cattura l’interesse con i brani del suo esordio, L’Educazione delle Rockstar. Su una insolita versione Elettro Rock di “Ma che Freddo Fa” le ragazze iniziano persino a ballare. Una di loro accanto a me dopo un minuto di ascolto esclama entusiasta rivolta all’amica “Aaahh sì! Quella dei Modà!”, ma questa è un’altra (triste) storia. “Bella Ciao” in chiusura genera le reazioni contrastanti già manifestatesi tra i commenti su Repubblica XL dopo l’uscita del videoclip in anteprima un paio di mesi fa: chi ne coglie l’amara ironia al primo ascolto già intona il ritornello, mentre un tipo grida indignato i versi dell’originale. Ironico che un fraintendimento tanto reazionario nasca in difesa del movimento partigiano.
Un rapido cambio e sul palco arrivano i Management. L’euforia con cui li accolgono la dice lunga su quanto ormai siano indubbiamente una delle più grosse novità del panorama musicale nostrano. Merito di questo secondo disco (McMao) o della trovata di Luca Romagnoli di tirarsi giù i pantaloni in mondovisione a una manciata di minuti a piedi da Città del Vaticano? Per stasera mi tengo il beneficio del dubbio e mentre ci penso mi godo lo show di un tipo che sembra nato per essere un frontman, qualunque sia la cosa che gli sta alle spalle. Un timbro vocale che poco ha a che vedere con l’intensità del cantautorato italiano, ma che traina il pubblico come un performer di quelli con un paio di greatest hits all’attivo: qui si poga già dal primo pezzo (“Il Cinematografo”, anche gli astuti MaDeDoPo sulla scia del clamore dell’Oscar a Sorrentino), e cantano proprio tutti. Il che non è così scontato. Ai concerti di Vasco Brondi cantano solo le donne, per dire. I quattro proseguono a ritmo serrato intervallando brani di Auff!! ai nuovi, “Marilyn Monroe” e poi “Hanno Ucciso un Drogato”, introdotta da una invettiva contro le forze dell’ordine – molto più probabile che Romagnoli li abbia chiamati sbirri – che quanto pare è una tematica ricorrente (anche in Auff avevano un paio di cose da dire ad un “Signor Poliziotto”) e i presenti sembrano condividere appieno e lo dimostrano prendendosi a spallate più convinte.
La realtà è che ad essere convincente è l’intero progetto MaDeDoPo. Strampalati ad ogni costo, si beffano della normalità, o per meglio dire della presunta tale, bocciano ogni forma di futuro prossimo e anteriore e lo gridano forte, ma l’astuzia sta nel farlo con un sound easy e immediato. Miscelalo con una sezione ritmica martellante, aggiungi testi sfrontati, non scontati e ben mirati a ficcarsi nelle teste dei più, avvolgi il tutto con quell’aria goliardica da Punk pagliacci vestiti da hipster, ed ecco che hai messo tutti d’accordo. Sì, un paio di punti li conquista per loro il batterista con la sua felpa rossa con motivo paisley: il mio obiettivo nella vita da domani sarà averne una uguale. La dimensione live è senza dubbio quella in cui i Management danno il meglio. Quando parte “Sei Tutto il Porno di cui Ho Bisogno”, l’anthem è un boato unanime, ma anche brani di McMao come “La Pasticca Blu” e “James Douglas Morrison” sono già celebri tra i seguaci. Il Deja Vu è così pieno che scoppia, la zona mixer è praticamente sotto assedio, ed ecco che l’impianto salta. Un vero frontman sa che non bisogna concedersi tempi morti, ed ecco che Luca coglie l’attimo di silenzio per lanciarsi in aria in uno stage diving che neanche Iggy Pop nella sua forma migliore, e dico in aria perché il palco è in realtà una pedana di venti centimetri e a Iggy non sarebbe mai venuto in mente.
Le brevi interruzioni sono solo quelle tecniche, per il resto i ragazzi non si risparmiano. “La Rapina Collettiva”, “Auff” e anche “Fragole Buone Buone”, che è proprio quella di Luca Carboni, una insolita scelta coverizzata e inclusa in McMao a sottolineare il fatto che non bisogna pensare di aver capito di che pasta sono fatti i Management, arriverà sempre una mossa che non ti aspetti. Mentre navigo tra la folla verso il fondo della sala in cerca di una birra sulle note di “Norman”, mi sorprendo in una bizzarra connessione mentale e ricordo un aforisma di Nietzsche sull’espressione “prendere sul serio”. Tre parole correntemente messe in fila che così disposte veicolano un insano pregiudizio circa l’impossibilità di ridere e pensare contemporaneamente. Che speranza abbiamo di sopravvivere al quotidiano senza l’arma dell’ironia? Conquisto una 0.2 e resto in ascolto nelle retrovie. Questo Alt Rock impegnato nei temi e paraculo nei modi mi appare la lingua migliore che rimane alla generazione di quelli cresciuti con tutto, e con la convinzione che lo avrebbero avuto per sempre, per poi ritrovarsi adulti nell’epoca in cui ogni cosa è inevitabilmente a termine.
Lasciateci cantare il nostro scazzo esistenziale mentre ci divertiamo a saltellare sugli stilemi del Rock, conditi di elettronica ma neanche troppo, giusto quel tanto che ci faccia sentire europei. Possibilmente con della birra a portata di mano. E che Nietzsche mi perdoni per averlo tirato in ballo nel raccontarvi di un concerto in provincia di Teramo.
Pics by Ilaria | Jela photo | https://www.facebook.com/pages/Jela-photo/317280911635779?fref=ts
28/03/2014 Auff!! Borghese l’Educazione Delle Rockstar Management del dolore post-operatorio McMao Modà Vasco Brondi
Last modified: 24 Aprile 2014
2 Responses