Parlare di Grunge per chi fa critica musicale è come entrare in un locale per motociclisti ai confini del Messico in compagnia di Quentin Tarantino. Da come varchi la soglia, hai subito l’idea che presto tutto possa sfociare in un caos infernale. Ancor di più se ne parliamo nel 2018; di Grunge americano fino al midollo ma forgiato da tre ragazzi abruzzesi, distanti tra loro per età e formazione musicale. Se Alessandro, voce e chitarra, diventa la parte cerebrale dei Paincheck, quella che lega indissolubilmente lo stile del trio alle leggende di Seattle, sarà invece il veterano Punk e Hardcore Patrizio alla batteria a sporcare, in senso buono, il sound di cruda e diretta energia mentre, l’ultimo arrivato, Pierluigi al basso, con la sua giovane età avrà il compito di scandagliare ogni possibile nuova strada da intraprendere.
È dura parlare di Grunge, dicevo all’inizio, perché si tratta di uno di quei generi diventati tali solo col tempo mentre l’accezione iniziale aveva il solo scopo di riunire sotto la stessa scena culturale band e realtà provenienti da una precisa zona del mondo, zona che, nei primi anni Novanta, grazie ai capolavori di Nirvana (In Utero), Pearl Jam (Ten e VS.) e Soundgarden (Superunknown e Badmotorfinger), del mondo divenne il centro. Tutti quei gruppi che a un certo punto finirono per essere, non solo suonare, Grunge erano, in effetti, molto diversi nello stile e il loro essere fuori dal tempo li rendeva perfette next big thing da dare in pasto a un pubblico che allora sapeva e voleva ancora stupirsi.
A distanza di così tanti anni e con i tanti limiti dovuti alla circoscrizione territoriale, suonare musica ricalcando le pietre miliari di quelle leggende espone al rischio concreto di apparire anacronistici ma stavolta non nel senso buono del termine quanto piuttosto come risultato di una sorta d’incapacità di leggere il proprio tempo, staccarsi dal passato e anticipare le esigenze del futuro.
A tal proposito, la forza dell’omonimo Ep dei Paincheck è da ricercarsi proprio nella succitata varietà delle loro anime, pronte a scontrarsi quando serve ed anche per questo capaci di porsi obiettivi che superino certi cliché. Non è questa da intendersi come l’opera definitiva dei tre abruzzesi; piuttosto un punto di partenza che lascia infiniti dubbi e speranze su dove possa portare l’avvenire. Con le loro cinque canzoni, i Paincheck ci catapultano su un vecchio palco, dove la sofferenza e la rabbia delle band Grunge si mescolano alla freddezza estetica e al distacco dello Shoegaze. Ascoltando Alessandro e soci è inevitabile che la mente voli lontano, al compianto Cornell; la semplicità melodica ricorda l’immediatezza di Vedder & Co. e la quasi totale assenza di sperimentazione va letta come atto d’amore e fedeltà accettabile in un primo Ep più che come assenza di coraggio o ispirazione.
C’era bisogno di un disco come questo in Italia nel 2018? Questa è la domanda che ogni ascoltatore critico potrebbe porsi. La risposta non è semplice perché la domanda giusta è un’altra. C’era bisogno che i Paincheck incidessero questo disco? Stavolta la risposta è un secco SÌ, perché al di là della personale e soggettiva gradevolezza dei brani, al di là di ogni constatazione tecnica o storica sul disco, le canzoni trasudano urgenza espressiva e puro amore per la propria musica, cosa che si percepisce già dai primi ascolti e crea un rapporto empatico tra musicista e ascoltatore.
I Paincheck sembrano arrivare da un’altra epoca, sono pronti ad accettare una sfida difficile, quella di riavvicinare i più giovani alle chitarre distorte e hanno scelto di farlo toccando le corde dei più anziani in cerca di nostalgia, come a voler creare un utopico trait d’union tra generazioni forse troppo lontane. Ogni canzone dell’Ep racconta qualcosa dei tre Paincheck, senza necessariamente che siano le parole a farlo. Racconta di sogni e sofferenza, racconta di disagio e speranza, racconta tre vite diverse, ognuna con le sue esperienze ma tutte accomunate dalla necessità di rifugiarsi nella musica per affrontare le difficoltà della vita.
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Last modified: 13 Marzo 2019