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Nel venticinquennale di Grace, una reinterpretazione coraggiosa e riuscita.
[ 04.10.2019 | Esordisco | indie rock ]
Se è vero che, per dirla con Guccini, “gli eroi son tutti giovani e belli”, beh, allora sicuramente Jeff Buckley è ascrivibile al gruppo. Aspetto affascinante, voce appassionata e tragica morte per annegamento nel 1997 a soli 31 anni ne fanno l’ideale perfetto dell’angelo rock caduto troppo presto per diventare un mito.
Accostarsi a lui e reinterpretarlo è così un’impresa per coraggiosi. Ad assumersi l’onere – nel venticinquennale di Grace, album seminale per generazioni di musicisti – ci pensa The Niro, alias Davide Combusti, quarantunenne cantautore romano tra i più talentuosi della nostra scena. Sollecitato dal chitarrista statunitense Gary Lucas, già collaboratore di Buckley, The Niro affronta la prova con maturità e senza alcun timore reverenziale.
I due, con la produzione di Francesco Arpino, ridanno voce all’intero canzoniere composto dalla coppia Buckley-Lucas. 12 brani di cui 5, i primi della track list, ancora inediti, salvo qualche apparizione live, ad impreziosire il lavoro: No one must find you here, Story Without Words, la malinconica e sognante In the Cantina, Bluebird Blues e l’energica Distortion.
Tra le canzoni già note, Mojo Pin e, in chiusura, la celeberrima Grace, con i suoi versi tragicamente profetici: “there’s the moon asking to stay / long enough for the clouds to fly me away / oh, it’s my time coming, I’m not afraid, not afraid to die”.
Il risultato è un disco che suona benissimo, nel quale il rock più sognante coabita con momenti più duri (Malign Fiesta) e trovano posto accenti country e blues. Spesso accostato a Jeff Buckley per la musica e il modo di cantare, con questo lavoro The Niro tenta di esorcizzare il fantasma del mito, riportandolo in vita, ma senza “clonarlo”, bensì donandogli la propria personale interpretazione.
Una prova pienamente superata, da riascoltare possibilmente dal vivo.
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Last modified: 9 Ottobre 2019
